Marco Dolfin: il chirurgo che opera servendosi di un esoscheletro

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Trent’anni.

Ti svegli per andare al lavoro, in ospedale, e sei indeciso se prendere l’automobile o la moto. Opti per la seconda e ti incammini ma, a trecento metri dalla destinazione, una signorina poco attenta, in auto, ti travolge e la tua vita cambia in un attimo perchè, in quei pochissimi istanti, perdi l’utilizzo delle gambe. Tutto sembra improvvisamente invilupparsi su se stesso, perchè il tuo stesso lavoro di chirurgo, che si svolge in piedi, viene messo decisamente a rischio.

Questo è quello che è successo a Marco Dolfin, chirurgo ortopedico che, oggi, fa parlare di sè in tutto il mondo perchè, dopo un lungo periodo di riabilitazione, riesce a fare il suo lavoro grazie ad un esoscheletro che lo aiuta nei movimenti e gli permette di mantenere la posizione eretta.

In un’intervista all’HuffPost, però, le parole di quest’uomo sono state molto forti: “Non sono un eroe. Non ringrazio l’incidente perché mi ha dato altre possibilità. Quello che ora non posso più fare, mi manca. Sono uno con la testa dura. Quella, dopo l’incidente, è rimasta la stessa, come dice sempre mia moglie. La mia nuova vita? Mi metto il cuore in pace e in qualche modo me la faccio andare bene“.

Un riferimento, probabilmente, anche alla diversa filosofia di Alex Zanardi, che ha ritrovato una vera e propria seconda vita fatta di opportunità e nuovi percorsi, dopo la perdita delle sue gambe: un evento traumatico che è stato metabolizzato e interiorizzato, non solo, ma a cui Zanardi è riuscito a dare anche uno scopo.

L’esoscheletro

Dopo l’incidente, Dolfin ha fatto un percorso all’Unità Spinale della Città della Salute di Torino, per poi cominciare a fare sport subito dopo: una sorta di auto-terapia del dolore, e non solo fisico.

Intanto, aveva commissionato ad Alessio Ariagno dell’Officina ortopedica Maria Edelaide di Torino la costruzione di un esoscheletro, che funzionasse ad hoc come una sorta di carrozzina elettronica verticalizzabile: tutto, ovviamente, era mirato all’obiettivo di tenerlo in piedi davanti al tavolo operatorio.

Questa struttura, infatti, viene comandata con un gomito, che muove un joystick, mentre le mani operano.

Un successo incredibile ed una nuova, ovviamente condizionata, libertà per un uomo che ha avuto il coraggio di sfidare il destino e di tornare a fare quello per cui si sente nato.

Oggi, dopo 6 anni, per quanto la sua vita sia cambiata e sia stato difficile rimettere le mani in pasta nel quotidiano, Marco assicura: “Quando sono lì dentro è come se non fosse cambiato nulla“.

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